MICHELE TIRABOSCHI, PROBLEMI E PROSPETTIVE DEI FONDI INTERPROFESSIONALI PER LA FORMAZIONE CONTINUA

17 Settembre 2024|Categorie: Comunicazione, Il Cloud del Lavoro|

Problemi e prospettive dei fondi interprofessionali per la formazione continua

Michele Tiraboschi, Professore ordinario di Diritto del lavoro all’Università di Modena e Reggio Emilia e coordinatore scientifico di Adapt, ne il “Cloud del Lavoro 2023-2024” ha analizzato il ruolo centrale dei Fondi interprofessionali per il finanziamento dei percorsi di formazione continua. Nel contesto del mercato del lavoro attuale, infatti, la formazione si configura come una delle strade percorribili per risolvere il disallineamento tra domanda e offerta. In questo quadro vanno anche a inserirsi le transizioni digital e green che hanno fatto emergere ulteriormente il tema dell’aggiornamento delle competenze. Poca attenzione viene ancora prestata ai fondi interprofessionali per la formazione continua che andrebbero ad aggiornare le skills dei lavoratori. Istituiti nel 2000, i fondi finanziano la formazione dei lavoratori attraverso i contributi delle imprese, con l’obiettivo di aumentarne competitività e occupabilità.

I fondi interprofessionali, tuttavia, soffrono di una mancanza di progettualità a lungo termine. Ogni anno vengono finanziati numerosi piani formativi, ma mancano valutazioni qualitative sull’efficacia di questi interventi. Inoltre, si rileva una crescente tendenza verso una formazione generalista a discapito della settoriale che non incontra sempre le necessità specifiche dei territori e delle imprese.

In questo scenario un’eccezione virtuosa è data dai fondi per il settore della somministrazione: grazie a una gestione più autonoma, ad esempio, il fondo Forma.Temp ha ottenuto risultati migliori in termini di formazione e riqualificazione delle competenze dei lavoratori, a dimostrazione che una maggiore autonomia delle parti sociali possa rafforzare l’efficacia dei fondi, suggerendo la necessità di un ripensamento del loro ruolo nelle politiche del lavoro per affrontare le sfide del mercato del lavoro.

Il contributo di Michele Tiraboschi tratto da “Il Cloud del Lavoro 2023-2024”


 

La formazione, il welfare, la bilateralità

PROBLEMI E PROSPETTIVE DEI FONDI INTERPROFESSIONALI PER LA FORMAZIONE CONTINUA

Nel dibattito pubblico sulle politiche del lavoro non mancano mai rituali richiami alla formazione. Il tema è al centro del confronto politico e sindacale da oltre trent’anni (a partire dal Protocollo Ciampi del 1993 e dal Patto sul lavoro del 1996) quale strada da percorrere per superare una lunga stagione antagonista e conflittuale delle relazioni industriali. Non sorprende, dunque, nel pieno di una nuova grande trasformazione del lavoro, segnata da una doppia transizione (digitale ed ecologica), che la formazione sia diventata la panacea dei gravi problemi del nostro mercato del lavoro che vive di grandi paradossi: alti tassi di inattività e disoccupazione, da un lato; assenza di manodopera e di professionalità per rispondere alle esigenze delle imprese, dall’altro lato.

Quel che sorprende se mai, in questo scenario, è la poca o nulla attenzione prestata, tanto nel dibattito pubblico che nel confronto scientifico, ai fondi interprofessionali per la formazione continua. Il riferimento è ai fondi introdotti dall’art. 118, comma 1, della legge n. 388 del 2000 che possono essere istituiti, per ciascuno dei settori economici, per il tramite di accordi interconfederali, dalle organizzazioni sindacali e datoriali maggiormente rappresentative sul piano nazionale. Con l’obiettivo di migliorare la «competitività delle imprese» e garantire «l’occupabilità dei lavoratori», tali fondi possono finanziare, a valere delle risorse derivanti da un contributo datoriale pari allo 0,30% delle buste paghe di ciascun lavoratore, piani formativi aziendali, territoriali o settoriali.

Il sistema dei fondi paritetici interprofessionali opera, pertanto, in tutti i settori economici ed è presente sull’intero territorio nazionale, attraverso le diverse articolazioni territoriali predisposte dalle parti sociali. Le risorse movimentate sono ingenti e garantiscono, almeno nella teoria, il protagonismo degli attori delle relazioni industriali e di lavoro che, secondo molti, è condizione necessaria perché una offerta formativa professionale sia adeguata e aderente ai fabbisogni professionali di un territorio e di un settore produttivo.

Nonostante ciò, le riflessioni su questo sistema di potenziamento della dotazione del capitale umano del nostro Paese sono limitate, a favore di una più frequente analisi dei sistemi formativi statali o regionali (le cosiddette politiche attive del lavoro) nei quali, come è noto, il coinvolgimento delle parti sociali è alquanto ridotto e marginale. Tuttalpiù si realizzano letture di tipo tecnico, che si attardano sulla pur importante questione della natura dei fondi (pubblica o privata?) e sulla esegesi del quadro normativo di riferimento. Oppure sono prodotti rapporti di tipo quantitativo che registrano gli accordi sindacali sottoscritti, il numero di imprese iscritte ai vari fondi, il totale dei lavoratori coperti e altre informazioni utili per riconoscere l’entità del fenomeno, che è ampiamente trascurata se si ricorda che ogni anno vengono finanziati circa cinquanta mila piani formativi.

Mancano però bilanci qualitativi che riflettano, a oltre vent’anni dalla introduzione dei fondi interprofessionali, sulle loro finalità, anche rispetto ai cambiamenti intervenuti sul mercato del lavoro, molti dei quali non erano neppure ipotizzabili al momento della loro costituzione.

In questo senso, il primo giudizio «politico» è quello di relativizzare la narrazione corrente che colloca oggi, a seguito della riforma del mercato del lavoro del 2015 (il c.d. Jobs Act), il funzionamento dei fondi dentro le ambigue politiche attive del lavoro all’italiana dove a dominare è una idea ancora pubblicistica della formazione e della ricollocazione. Questa narrazione, che ha le sue ragioni in provvedimenti legislativi che negli anni recenti hanno ricompreso i fondi interprofessionali all’interno della rete dei servizi per il lavoro coordinata da Anpal e ne hanno esteso la platea di beneficiari ricomprendendo financo i percettori del Reddito di cittadinanza, è in decisa contraddizione con la genesi pattizia e di relazioni industriali dei fondi. Al tempo della stagione concertativa, infatti, i fondi erano concepiti, nei già richiamati patti sociali del 1993 (accordo Ciampi) e del 1996 (Patto per il Lavoro preliminare alla legge «Treu»), come leva governata dalle parti sociali per lo sviluppo della formazione professionale continua in una ottica di competitività delle imprese e di garanzia della occupabilità dei lavoratori e non come mera politica attiva rivolta a inattivi e disoccupati.

In questa prospettiva, due dati dovrebbero acquisire più rilevanza nel dibattito e suggerire la necessità di recuperare la «vocazione» originaria dei fondi. Per un verso, la crescita esponenziale di alcuni «nuovi» fondi che non si incardinano in sistemi contrattuali realmente rappresentativi. Per altro verso, la tendenza, comune a molti fondi, di finanziare ed erogare una formazione «generalista» e trasversale ai settori, anziché radicata e progettata all’interno di essi. Tali fenomeni, invero intrecciati tra loro, finiscono per dar vita a un vero e proprio «mercato» della formazione continua in cui i fondi si muovono secondo logiche concorrenziali, talvolta anche sleali, piuttosto che di servizio e funzionalità rispetto alle dinamiche contrattuali e di relazioni industriali del settore di riferimento.

Tale scenario è senz’altro la risultante delle tendenze legislative di cui si è detto, al quale si somma la pratica del «prelievo forzoso» per la quale le risorse dello 0,30% sono sovente ridestinate ad attività diverse da quelle formative, ma anche delle scelte (mancate) delle stesse parti sociali. Eppure, da studio degli accordi interconfederali e degli statuti dei fondi, emerge inequivocabilmente la carenza di una progettualità e di una conseguente operatività che realizzi un più stretto legame tra i fondi e le dinamiche di relazioni industriali di settore. Non esistono raccordi, per esempio, tra l’attività dei fondi interprofessionali e i sistemi di classificazione e inquadramento dei lavoratori definiti dai contratti collettivi nazionali dei diversi settori, rispetto ai quali i fondi dovrebbero operare in una logica servente. E anche le connessioni, teoriche e operative, che dovrebbero esservi tra i fondi interprofessionali e i sistemi di bilateralità di ciascun settore (organismi paritetici, osservatori del mercato del lavoro, enti bilaterali, ecc.) rimangono solo sulla carta e mancano di effettività.

In altre parole, i fondi non sono concepiti dalle parti sociali in modo strategico per lo svolgimento di una delle funzioni più importanti della rappresentanza, cioè quella costruzione sociale dei mestieri e delle competenze e del presidio dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Un incontro che ormai da tempo non si realizza più in maniera standardizzata secondo una logica, ancora risalente al Novecento industriale, di mero scambio tra ore lavorate e salario, per la quale si compra e si vende il «tempo di lavoro». Ma, competenze, professionalità, abilità e conoscenze.

Eppure, chi meglio degli attori della rappresentanza, potrebbe farsi carico, anche per mezzo di massicci interventi di riqualificazione dei lavoratori, di porre rimedio al sempre più grave disallineamento tra domanda e offerta di lavoro? Lo sa bene chi opera nel sistema della bilateralità delle agenzie del lavoro in somministrazione. In questo «settore», cogestito da relazioni industriali abili a sviluppare soluzioni contrattuali creative, è stato realizzato un solido sistema di formazione professionale dei lavoratori finalizzato a costruire le competenze di cui necessitano le aziende utilizzatrici e garantire l’occupabilità dei lavoratori. A valere delle risorse di Forma.Temp, il Fondo per la formazione e il sostengo al reddito dei lavoratori in somministrazione, sono infatti finanziati pacchetti formativi di durata molto più consistenti rispetto a quelli, ben pubblicizzati, di altri settori (come il metalmeccanico) e sono inoltre sostenute misure di riqualificazione e ricollocazione, come la procedura in mancanza di occasione di lavoro (la c.d. Mol) che non esistono in nessun altro sistema contrattuale.

L’efficacia della bilateralità della somministrazione si spiega senz’altro anche a partire dalla natura non pubblicistica del fondo di riferimento che, a differenza degli altri, trova fondamento nella legge «Biagi» del 2003 che, pur prevedendo una obbligatorietà del versamento, consentiva la gestione delle risorse dentro i sistemi intersindacali e pattizi. Grazie a questo elemento, infatti, nel tempo, è stata contenuta la torsione pubblicistica che ha coinvolto gli altri fondi interprofessionali per la formazione continua che, gradualmente, sono stati sottratti al pieno controllo delle parti sociali, a favore di agenzie governative e del Ministero del Lavoro, e sono sempre più ricompresi nel sistema delle politiche pubbliche, con una distrazione non banale di risorse.

Una torsione pubblicistica che, come si è visto, ha notevolmente danneggiato l’azione e gli scopi dei fondi interprofessionali e, più in generale, della stessa rappresentanza del lavoro e delle imprese. Le organizzazioni sindacali e le associazioni datoriali, infatti, per mantenere la loro rilevanza, in un contesto economico e sociale in cui viene meno la centralità del «posto di lavoro» stabile a favore di una dinamicità propria di un mercato delle competenze e delle professionalità, dovrebbero intestarsi il tema della costruzione sociale dei mestieri e delle competenze, proprio a partire dai fondi interprofessionali e dalla bilateralità che in questa direzione andrebbero riprogettati e ammodernati.


IL CLOUD DEL LAVORO 2023-2024

Il contributo di Michele Tiraboschi, Professore ordinario di Diritto del lavoro all’Università di Modena e Reggio Emilia e coordinatore scientifico di Adapt, è contenuto all’interno de “Il Cloud Del Lavoro 2023-2024“, l’annuale pubblicazione di Assolavoro che raccoglie al proprio interno riflessioni e proposte di esperti e manager delle Agenzie, giuslavoristi, economisti, rappresentanti istituzionali e sindacali, ministri, ex ministri e dirigenti pubblici.

L’obiettivo de Il Cloud del Lavoro è quello di offrire le coordinate più puntuali su regole, flessibilità, politiche attive, servizi, Agenzie per il Lavoro, dati, formazione, competenze, welfare, relazioni industriali, digitalizzazione, intelligenza artificiale e prospettive del mercato del lavoro tra il 2023 e 2024.

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