MICHELE FAIOLI: RAPPORTO CNEL 2022 E CONTRATTAZIONE COLLETTIVA NAZIONALE

9 Luglio 2024|Categorie: Comunicazione, Il Cloud del Lavoro|

Rapporto Cnel 2022 e contrattazione collettiva nazionale

Michele Faioli, Professore associato di Diritto del lavoro all’Università Cattolica del Sacro Cuore, ne il “Cloud del Lavoro 2023-2024” esamina il Rapporto sul mercato del lavoro del Consiglio. Faioli, dalla lettura del documento, ha evidenziato la necessità di una maggior chiarezza sui dati dei contratti collettivi, anche con l’applicazione di un codice univoco alfanumerico del CCNL.

Si è potuto in questo modo osservare che i contratti sottoscritti da grandi organizzazioni datoriali con i sindacati sono stati 208; i contratti depositati al CNEL sono 1000, mentre quelli sottoscritti dai sindacati non depositati al Cnel 347.

Aumenta, dunque, la copertura dei CCNL, arrivando a comprendere il 97% dei lavoratori.
Tra le problematiche riscontrate, tuttavia, resta il rischio di una proliferazione di contratti a basso contenuto protettivo e di social dumping.

È necessario, quindi, un metodo condiviso sia dalle parti sociali che dall’Ispettorato per comparare tra due CCNL la struttura della retribuzione e quella delle tutele normative, per dare più spazio alle organizzazioni maggiormente rappresentative e alle istituzioni esperte di mercato del lavoro.

Il contributo di Michele Faioli tratto da “Il Cloud del Lavoro 2023-2024”


 

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RAPPORTO CNEL 2022 E CONTRATTAZIONE COLLETTIVA NAZIONALE

Nel Rapporto sul mercato del lavoro del Cnel del 2022 ci sono almeno due buone notizie. La prima riguarda un dato che sbaraglia la solita retorica sul numero dei contratti  collettivi nazionali. Sono almeno quattro anni che al Cnel si segnala questo punto. Ma nel 2022 abbiamo, anche in ragione della piena applicazione del codice unico alfanumerico  del Ccnl, i dati effettivamente più puliti: i Ccnl sottoscritti dalle grandi organizzazioni datoriali con Cgil, Cisl, Uil sono 208 a fronte dei circa 1000 depositati presso il Cnel. I Ccnl sottoscritti da sindacati che non siedono al Cnel sono 347.

La seconda buona notizia riguarda la cd. copertura dei contratti collettivi misurata con riferimento agli Uniemens in relazione all’obbligatorio inserimento del codice unico alfanumerico: i Ccnl sottoscritti da Cgil, Cisl, Uil coprono circa il 97% dei lavoratori.

La tabella dei dati è stata ri-elaborata dal Cnel nel gennaio 2023 ed è qui di seguito riportata.

*Nota: il Cnel ha una fotografia retrodatata di circa due mesi della contrattazione nazionale, perché le parti firmatarie hanno tempo 30 giorni dalla data di stipula per  depositare gli accordi di rinnovo e in genere lo fanno dopo che sono concluse le procedure di consultazione dei lavoratori. Dopo un paio di mesi dalla stipula procediamo a  richiedere il deposito degli accordi non ancora depositati.

Questa vicenda dimostra ciò che ho già definito, in un mio precedente scritto, come una forma indiretta di «aziendalizzazione» della contrattazione nazionale. Organizzazioni  minori, datoriali e sindacali, stipulano Ccnl a basso contenuto protettivo e di costo del  lavoro che sono applicati a pochi o a pochissimi datori di lavoro di una certa zona  geografica del Paese, che operano in un certo settore. Non c’è più bisogno di un contratto  aziendale che deroghi in modo incontrollato il Ccnl: si può costituire un’organizzazione sindacale, una datoriale, stipulare un Ccnl al ribasso e farlo applicare a una dozzina di  datori di lavoro! Tali organizzazioni sindacali e datoriali, tra l’altro, pubblicizzano senza pudore il social dumping (riduzione del costo del lavoro che si ottiene dal vincolo a quel Ccnl) e iniziano a operare a danno dei lavoratori, incidendo sulla competizione al ribasso nell’ambito salariale. Posto ciò, dobbiamo chiederci cosa si può fare adesso.

Da una parte, bisognerebbe consolidare il sistema di coordinamento digitale delle banche dati che sono riferibili all’art. 16 quater, d.l. 76/2020 (decreto semplificazioni), il quale ha  disposto, su suggerimento del Cnel, che il contratto collettivo nazionale, identificato mediante un codice unico alfanumerico per tutta la Pa, fosse indicato nelle comunicazioni obbligatorie e nelle trasmissioni mensili Uniemens. A oggi il Ministero del Lavoro che gestisce le comunicazioni obbligatorie non ha ancora trovato il modo per agganciare il proprio dataset sulle comunicazioni obbligatore a quello Cnel/Inps. E ciò non è un bene. Il che, come si può facilmente intuire, crea molte complicazioni applicative. Anche per  questa ragione il Cnel ha recentemente depositato in Parlamento un disegno di legge per  far integrare il decreto trasparenza con un riferimento al codice unico alfanumerico. Dall’altra, si potrebbe rilanciare una strategia di ispezioni volte a verificare specificatamente ciò che accade nel 3% circa di rapporti di lavoro non assoggettati ai contratti collettivi sottoscritti da Cgil, Cisl, Uil.

Si tratterebbe di una campagna ispettiva data-driven, molto mirata e, di conseguenza, certamente più efficace. In questa prospettiva si potrebbe persino immaginare  l’elaborazione di meccanismi digitali di pre-analisi ispettiva delle incongruità salariali più rilevanti.

Resta sullo sfondo un problema. Abbiamo capito che il dumping tra contratti collettivi avviene sui contenuti economici e normativi e che c’è una tendenza a moltiplicare Ccnl  per avere ahinoi più spazio concorrenziale al ribasso sulle tutele. Sappiamo anche che il Testo Unico sulla misurazione della rappresentatività è ancora in fase sperimentale, con la conseguenza che non si possono a oggi selezionare con certezza i contratti sottoscritti dalle organizzazioni più rappresentative.

Da qui origina il problema, il quale riguarda l’individuazione di un metodo condiviso sia dalle parti sociali che dall’ispettorato mediante cui far comparare, nel caso specifico, tra due Ccnl, quello applicato in dumping e quello che si ritiene più protettivo, la struttura della retribuzione (cosa è minimo salariale? Quali sono le relative voci?) e quella delle tutele normative (congedi, flessibilità contrattuali, etc.).

Su questo binario c’è uno spazio importante sia per le organizzazioni più rappresentative che per le istituzioni che si occupano di lavoro. C’è uno spazio politico per il Ministero e c’è un nuovo spazio sindacale per le organizzazioni più rappresentative che può e deve essere colto al più presto.

 


IL CLOUD DEL LAVORO 2023-2024

Il contributo di Michele Faioli, Professore associato di Diritto del lavoro presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, è contenuto all’interno de “Il Cloud Del Lavoro 2023-2024“, l’annuale pubblicazione di Assolavoro che raccoglie al proprio interno riflessioni e proposte di esperti e manager delle Agenzie, giuslavoristi, economisti, rappresentanti istituzionali e sindacali, ministri, ex ministri e dirigenti pubblici.

L’obiettivo de Il Cloud del Lavoro è quello di offrire le coordinate più puntuali su regole, flessibilità, politiche attive, servizi, Agenzie per il Lavoro, dati, formazione, competenze, welfare, relazioni industriali, digitalizzazione, intelligenza artificiale e prospettive del mercato del lavoro tra il 2023 e 2024.

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