MAURIZIO DEL CONTE, IL PNRR SIA L’OCCASIONE DEL CAMBIO DI PASSO SULLE POLITICHE ATTIVE
Il PNRR sia l’occasione del cambio di passo sulle politiche attive
Maurizio Del Conte, Professore ordinario di Diritto del lavoro all’Università Bocconi di Milano, ne “Il Cloud del Lavoro 2023-2024” ha analizzato le positive ricadute del PNRR sul potenziamento delle politiche attive del lavoro e, più nello specifico, sulla formazione professionale. Tuttavia, l’assenza di una riforma strutturale vera e propria delle politiche attive ha limitato l’efficacia dell’intervento. E il programma GOL deve rifarsi all’infrastruttura esistente attingendo alle risorse legate al raggiungimento di obiettivi concordati tra governo e regioni. Di conseguenza, se nel 2022 l’attenzione era sulla presa in carico dei disoccupati, la vera sfida ora resta il potenziamento delle competenze per aumentare l’occupabilità.
Per questo in Italia la formazione professionale deve diventare sempre più un processo integrato, che includa anche l’orientamento e l’accompagnamento al lavoro, oltre al monitoraggio dei risultati. All’interno del processo va inoltre tenuto conto della necessaria revisione del sistema di accreditamento degli enti di formazione, che deve basarsi sulle performance, puntando sul coinvolgimento di soggetti qualificati.
È giunto il momento per le politiche attive di un cambio di passo, che preveda l’adozione di un approccio orientato alla qualità dei servizi e alle esigenze delle imprese. Il sistema deve prevedere costi standard adeguati e promuovere economie di scala per evitare la dispersione dei fondi. Solo così, lasciato alle spalle l’anno europeo delle competenze, si potrà ora migliorare la qualità del lavoro in Italia.
Il contributo di Maurizio Del Conte tratto da “Il Cloud del Lavoro 2023-2024”
En attendant le nuove politiche attive
IL PNRR SIA L’OCCASIONE DEL CAMBIO DI PASSO SULLE POLITICHE ATTIVE
Il Pnrr destina al potenziamento delle politiche attive e della formazione professionale del lavoro quasi cinque miliardi di euro. Se consideriamo che, in tempi ordinari, per la gestione dei Centri per l’impiego vengono destinati meno di quattrocento milioni di euro all’anno (365 milioni di euro per l’anno 2020, secondo i dati riportati dalla Corte dei conti, delibera n. 16 del 2021), possiamo comprendere bene che l’intero sistema nazionale non aveva mai visto (e, molto probabilmente, non vedrà più in futuro) una iniezione di risorse straordinarie di questa magnitudine. Ma, se le risorse economiche sono una condizione necessaria per creare l’infrastruttura dei servizi per il lavoro, esse – da sole – non bastano a rendere quella infrastruttura efficiente.
È, infatti, indispensabile un progetto complessivo che ne definisca con precisione e chiarezza di ruoli l’architettura istituzionale, il suo sistema di governance e i soggetti – pubblici e privati – chiamati a farne parte. Purtroppo, alle risorse messe a disposizione dall’Europa non è corrisposto un nuovo disegno delle politiche attive del Paese. Sotto questo profilo la missione cinque del Pnrr ha mancato una opportunità storica. Ma tant’è. Il governo ha definito gli interventi nel piano Garanzia di occupabilità dei lavoratori, conosciuto con l’acronimo Gol. Si tratta, in larga prevalenza, di misure già conosciute nell’ambito del sistema delle politiche attive, erogate attraverso l’infrastruttura già presente sul territorio. In altri termini, il progetto Gol indirizza le risorse economiche sulla infrastruttura esistente, con l’obiettivo di potenziarla, ma senza l’ambizione di innovarla. In questo contesto, la novità di metodo più rilevante è quella dettata dall’Europa: subordinare l’erogazione delle risorse al conseguimento di obiettivi specifici, preventivamente condivisi tra governo e regioni, considerando che al raggiungimento degli obiettivi fissati dal piano Gol sono condizionate le tranche dei finanziamenti europei.
È, dunque, fondamentale che gli enti attuatori (lo ripetiamo, in una logica di partnership tra pubblico e privato) rispettino puntualmente gli obiettivi assegnati. Scontate le difficoltà di avvio della macchina amministrativa, vanno ora affrontati e risolti gli elementi di criticità del sistema che rischiano di pregiudicare il successo finale dell’intera «missione cinque» del Pnrr. Partendo dalla consapevolezza che sarebbe un grave errore sopravvalutare il risultato – pur in sé positivo – consistente nel raggiungimento del target stabilito per l’anno 2022.
L’obiettivo dello scorso anno era limitato alla presa in carico dei disoccupati e non può essere considerato un vero banco di prova dell’efficacia del piano Gol. Se è vero che il piano del governo non ha fissato l’obiettivo dell’inserimento lavorativo dei disoccupati, ma soltanto il rafforzamento della loro occupabilità, è anche vero che quest’ultima non può intendersi in una dimensione formale e burocratica, dovendo invece essere valutata secondo i parametri di effettività ben definiti a livello europeo. Per migliorare l’occupabilità è centrale il ruolo della formazione che, non a caso, rappresenta il target per il 2023. Nonostante l’enfasi posta – nel dibattito politico e in quello degli addetti ai lavori – sulla centralità delle competenze e della loro formazione – parole citate nel Pnrr, rispettivamente, 213 e 206 volte – in Italia la formazione al lavoro non è mai stata oggetto di un piano unitario di azione a livello nazionale.
Tante parole e tanta poca azione non sono casuali. La formazione «vera» al lavoro – quella che produce un accrescimento delle competenze della persona funzionale a un lavoro di qualità – è difficile da progettare, da erogare e ancor più da valutare nei suoi risultati di effettivo miglioramento del lavoro e delle opportunità di occupazione. Eppure, fare formazione al lavoro – farla in modo rigoroso e continuo e coinvolgendo la gran parte delle persone attivabili del Paese – è indispensabile perché la crescita delle competenze genera, contestualmente, benessere per persone e comunità e produttività per imprese e sistema economico. E questi vantaggi sembrano essere ancora maggiori in un momento storico di enorme trasformazione del lavoro, come è questo post-pandemico, e soprattutto negli ambiti caratterizzati da una domanda di lavoro superiore all’offerta.
Fino a ora, però, in Italia la questione è stata affrontata esclusivamente sotto il profilo delle risorse economiche disponibili o sulla base di affermazioni di principio, come il riconoscimento formale del diritto individuale alla formazione, scarsamente seguite da atti concreti. È inutile discutere di finanziamenti o di durata della formazione se gran parte della platea che più ne avrebbe bisogno non sa come identificare un programma di riqualificazione utile al lavoro, come distinguere un programma rigoroso, come frequentarlo in modo compatibile con i tempi del lavoro e della vita familiare, come ottenere un riconoscimento dei risultati di competenza e come utilizzare questo riconoscimento per la propria crescita lavorativa.
Trovare le risorse economiche – e trovarle in modo non episodico – e sancire un diritto sono condizioni necessarie ma non sufficienti. Occorre progettare e realizzare un sistema di formazione capace di combinare tre attività connesse fra di loro: l’orientamento alla formazione, l’accompagnamento al lavoro e il monitoraggio.
Va da sé che, per avere servizi efficaci, è necessario incentivare la partecipazione degli enti in grado di presentare i migliori dati di performance. Perciò è necessario rivedere il sistema di finanziamento degli enti, a partire dalla ridefinizione dei criteri di accreditamento che non possono più essere basati esclusivamente su requisiti formali ex ante, ma devono prevedere sistemi di valutazione di impatto sulla base di obiettivi misurabili. In tal senso va perseguita con determinazione una politica di finanziamento della formazione professionale che conduca a una elezione virtuosa dei soggetti accreditati. Naturalmente per rendere servizi di qualità è necessario prevedere remunerazioni adeguate. Il sistema dei costi standard, pensato più per semplificare le procedure di rendicontazione della spesa che in funzione del valore reale dei servizi offerti, va ridefinito in base a nuovi parametri in grado di essere attrattivo per gli enti migliori. Per realizzare i volumi necessari a soddisfare i bisogni formativi delle imprese bisogna favorire le economie di scala, non dissipare i fondi verso una pletora di soggetti poco qualificati che rendono servizi a basso costo.
In conclusione, il 2023 – anno europeo delle competenze – potrà essere anche per l’Italia l’anno della svolta per le politiche attive e per la formazione professionale, a condizione che non ci si accontenti di distribuire a pioggia le risorse del Pnrr, ma si centri l’obiettivo sostanziale del progresso non solo quantitativo ma anche – e soprattutto – qualitativo del lavoro.
IL CLOUD DEL LAVORO 2023-2024
Il contributo di Maurizio Del Conte, Professore ordinario di Diritto del lavoro all’Università Bocconi di Milano, è contenuto all’interno de “Il Cloud Del Lavoro 2023-2024“, l’annuale pubblicazione di Assolavoro che raccoglie al proprio interno riflessioni e proposte di esperti e manager delle Agenzie, giuslavoristi, economisti, rappresentanti istituzionali e sindacali, ministri, ex ministri e dirigenti pubblici.
L’obiettivo de Il Cloud del Lavoro è quello di offrire le coordinate più puntuali su regole, flessibilità, politiche attive, servizi, Agenzie per il Lavoro, dati, formazione, competenze, welfare, relazioni industriali, digitalizzazione, intelligenza artificiale e prospettive del mercato del lavoro tra il 2023 e 2024.
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