CESARE DAMIANO, DALLA FLEXICURITY ALLA FLEXSTABILITY: UN PASSAGGIO VIRTUOSO

Published On: 1 Ottobre 2024|Categorie: Comunicazione, Il Cloud del Lavoro|

Dalla flexicurity alla flexstability: un passaggio virtuoso

Cesare Damiano, Presidente dell’Associazione Lavoro & Welfare, già Ministro del Lavoro, ne “Il Cloud del Lavoro 2023-2024” ha analizzato l’ampio tema del lavoro in Italia. Il quadro generale del mercato del lavoro presenta, infatti, sfide strutturali profonde. L’Italia continua a rimanere indietro rispetto ai paesi del Nord Europa sia in termini di occupazione che di competitività. Molti disoccupati hanno rinunciato a cercare lavoro e le imprese lamentano difficoltà nel trovare lavoratori qualificati, evidenziando come il mismatch tra domanda e offerta continui ad ampliarsi. In questo scenario appare necessario riformare la formazione professionale e le politiche attive del lavoro, orientandole maggiormente verso le esigenze reali delle aziende, riflettendo il contesto dinamico del mercato del lavoro globale.

Un’altra criticità è data dal tema dei salari. L’Italia è, infatti, l’unico paese OCSE nel quale i salari sono diminuiti (-2,9%) dal 1990, mentre in altri paesi, come la Germania (+33,7%) e la Spagna (+6,2%), si è registrato un aumento degli stessi. Questa diminuzione salariale riflette in parte la debolezza del tessuto industriale e la mancanza di politiche industriali adeguate.

La “flexicurity“, un modello di lavoro basato sulla flessibilità contrattuale e sul sostegno ai lavoratori, in questo ha in parte fallito in Italia. Invece di garantire un equilibrio tra flessibilità e sicurezza, ha piuttosto alimentato una precarietà strutturale. Per affrontare le nuove sfide del mercato del lavoro si propone, dunque, un nuovo approccio: la “flexstability“.

Con la flexstability si punta a dare maggiore stabilità al rapporto di lavoro, garantendo flessibilità nelle mansioni: si prevede un lungo periodo di prova e maggiori incentivi pubblici per favorire assunzioni a tempo indeterminato, con lo scopo di ridurre la diffusione del “lavoro povero” e migliorare il potere d’acquisto. In particolare, sono tre gli interventi necessari per migliorare la qualità del lavoro in Italia:

  1. Ridurre il cuneo fiscale in modo più incisivo;
  2. Rinnovare i contratti di lavoro alla loro scadenza naturale;
  3. Rivedere i meccanismi di indennità e gli indicatori di inflazione legati al costo della vita.

Il dibattito sul lavoro in Italia deve concentrarsi sulla qualità dell’occupazione e delle imprese per poter affrontare le sfide globali ricordando che, come scriveva Smith, il lavoro rimane il fondamento della ricchezza di una nazione.

Il contributo di Cesare Damiano tratto da “Il Cloud del Lavoro 2023-2024”


 

Il lavoro, la politica, il governo

DALLA FLEXICURITY ALLA FLEXSTABILITY: UN PASSAGGIO VIRTUOSO

A che punto è il lavoro? Cosa rappresenta nella società italiana nel 2023? Qual è lo stato di questo fondamento costituzionale del nostro Paese? Crediamo che non si possa sfuggire a quel caposaldo fissato da colui che è  considerato il padre dell’economia politica, Adam Smith, nel 1776, nel primo capoverso dell’Introduzione della sua opera La ricchezza delle nazioni. Dove si legge: «Il lavoro annuale di ogni nazione è il fondo da cui  originariamente provengono tutti i mezzi di sussistenza e di comodo che essa annualmente consuma, e che sempre consistono del prodotto diretto del lavoro o di ciò che con esso viene acquistato da altre nazioni in modo più o meno abbondante».

Stabilito questo punto di principio, analizziamo quel che ci dicono alcuni indicatori e cerchiamo di unire i puntini per disegnare un quadro della situazione. Nel 2022 l’occupazione, così come altri indici  economici, ha mostrato dei risultati positivi. Positivi, sì. Ma quanto in modo sostanziale e quanto in modo apparente? Nel terzo trimestre l’Istat registra che i disoccupati, in Italia, sono scesi sotto i due milioni. Ma anche che il  numero di persone «in cerca di lavoro» scende nella stessa misura. Il tasso di occupazione raggiunge un livello record al 60%. Un dato che appare, in sé, eccellente, ma ci mantiene ben al di sotto delle medie europee, in particolare dei livelli dell’Europa del Nord. Una buona notizia è senz’altro la crescita del lavoro a tempo indeterminato anche grazie alla trasformazione dei contratti a termine e del tempo in cui viviamo che vede una penuria di mano d’opera specializzata e formata alle esigenze aziendali.

In primo luogo, il dato positivo va relativizzato, appunto, nel confronto con i livelli europei. In secondo luogo, per valutare oggettivamente il livello di  disoccupazione, si deve sempre confrontare il dato con quello delle persone che rinunciano a cercare un posto di lavoro. Ancora, le imprese denunciano, come ricordavamo, di non riuscire a trovare le professionalità che ricercano. C’è, dunque, e non è una novità, il tema dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Questo problema apre a sua volta quello della struttura della formazione e delle politiche attive. Quando parliamo di formazione essa, nel mercato del lavoro di oggi, dovrebbe essere intesa come mirata, costruita on the job, in piccoli lotti su misura che rispondano alle esigenze delle imprese e alla necessità di avere una continuità nell’evoluzione delle professionalità che devono corrispondere alle dinamiche, in continuo aggiornamento delle produzioni e della organizzazione del lavoro.

Le politiche del lavoro, dei Centri per l’impiego, della formazione, della qualificazione degli occupabili che sono interessate anche dagli interventi attivati dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, sono dunque da rimodellare e da portare a un livello molto più alto che ci permetta di reggere il confronto con il  Nord Europa.

Ma basta tutto questo per esaurire l’analisi dello stato del lavoro? Sicuramente no. E tale no va inteso soprattutto dal punto di vista qualitativo. Valutazione che non può essere messa in ombra dagli indicatori  statistici. Il tema che vogliamo porre è che il 2023 dovrebbe essere l’anno nel quale avviare un vasto e molto concreto dibattito sulla natura e la struttura – non solo, perciò sulle procedure – del mercato del lavoro. Un dibattito che abbracci in modo complessivo la qualità dell’impresa e del lavoro, come via maestra per fronteggiare le sfide della competitività globale.

Consideriamo il tema dei salari. Rispetto al quale la situazione italiana è di una  precarietà impressionante. Di tutti i Paesi Ocse l’Italia è, infatti, l’unico nel quale, negli ultimi trent’anni, le retribuzioni sono calate. I numeri parlano impietosamente da soli. Tra il 1990 e il 2020, i salari, in Italia, sono scesi: -2,9%. All’altro estremo della dinamica salariale troviamo i Paesi Baltici nei quali le retribuzioni crescono oltre il 200% fino al picco del 276,30% in Lituania. Certo, queste nazioni, che si sono congiunte all’Unione Europea  negli anni zero del XXI secolo, vengono da dinamiche ben diverse da quelle che hanno visto l’Italia divenire un grande Paese industriale nella seconda metà del XX secolo. Ma se andiamo a guardare il percorso delle  retribuzioni in un Paese con il quale il confronto è più coerente con il nostro come la Germania, troviamo che, nello stesso periodo, la crescita salariale è stata del 33,70%. Perfino nella penultima nazione della classifica, la Spagna, la crescita, seppur assai più modesta, è stata del 6,20%. In ambito Ocse, insomma, solo l’Italia conosce un regresso delle retribuzioni.

Procediamo nel collegare i puntini. E tiriamo la linea fino all’evidente grande vuoto  di politiche industriali del quale l’Italia soffre gravemente. Certo, almeno in parte, il Pnrr e le transizioni economiche definite dall’Unione Europea suppliscono, in questo momento storico, a questo vuoto. Unendo al quadro un altro puntino è evidente il declino del tessuto produttivo italiano, caratterizzato da imprese troppo piccole e sottocapitalizzate e poco inclini alla modernizzazione, se non in presenza di stimoli come Industria 4.0, autentico  elemento di politica industriale.

Se pure, dunque, per la fine del 2022, i dati sull’occupazione ci danno qualche segnale confortante, sul piano sistemico dobbiamo rilevare quel che decisamente non va e che va cambiato per uscire da una dinamica di impoverimento sostanziale del lavoro. La quale trascina con sé un declino generale che, laddove non si intervenga, non sarà arrestabile.

Per questo, dunque, per rivitalizzare la qualità del lavoro che è fondamento della ricchezza del Paese, si deve prendere atto di una criticità centrale: il fallimento della flexicurity. Ossia, quel modello – peraltro in declino in tutta Europa – fondato, laddove ha funzionato, su:

1) una forte flessibilità contrattuale che produce contratti di lavoro indirizzati alla flessibilità produttiva e, quindi, a tempo determinato;

2) un supporto ai lavoratori impostato sulla formazione continua;

3) un robusto sistema di politiche  attive che facilitino collocazione e ricollocazione;

4) protezione sociale e sostegno ai redditi.

Questo meccanismo, in Italia, perseguito in modo confuso, più di facciata che sostanziale, è ben lontano dall’essere stato realizzato. La flessibilità, dalla mansione si è trasferita ai rapporti di lavoro, diventando precarietà strutturale.

Un nuovo progetto che faccia perno sulla qualità dell’impresa e del lavoro come via maestra per fronteggiare le sfide della  competitività globale deve essere, perciò, il tema sul quale concentrare il dibattito.

Assumiamo, dunque, il presupposto che tale fallimento è dovuto al fatto che il binomio flex e security ha funzionato solo dal lato della  flessibilità: le politiche attive in Italia sono al palo e il nostro sistema di collocamento pubblico è inadeguato sia in termini quantitativi che qualitativi rispetto ai principali partner (e concorrenti) europei. Somma di problemi  che ha prodotto un allargamento esasperato della flessibilità del rapporto di lavoro alla quale non ha corrisposto, come evidenziato sopra, un adeguato sistema di incontro tra domanda e offerta.

Proponiamo, quindi, di  superare la flexicurity con una visione nella quale la flessibilità diventi uno strumento nella disponibilità del lavoratore, anziché una condizione di precarietà strutturale. Un meccanismo che intendiamo definire come Flexstability (termine utilizzato, linguisticamente, in tutt’altri contesti del quale proponiamo una nuova accezione).

I punti fondamentali nel disegno della flexstability sono:

1. Spostare l’asse della flessibilità dal rapporto di  lavoro alla prestazione del lavoratore. Uno scambio, da proporre alle imprese che incroci stabilità del rapporto di lavoro e flessibilità della mansione, la quale sia impostata sull’organizzazione del lavoro aziendale. Una  flessibilità della prestazione con disponibilità del lavoratore a turnazioni, reperibilità, stagionalità degli orari, picchi di mercato, banca delle ore e lavoro agile;

2. Stabilità del rapporto di lavoro, che implichi un congruo periodo di prova, anche biennale, al termine del quale l’azienda decide se dar corso all’assunzione a tempo indeterminato dopo aver formato e incluso nella continuità aziendale il lavoratore;

3. Incentivi pubblici indirizzati esclusivamente a sostenere le assunzioni a tempo indeterminato: il lavoro stabile deve costare meno di quello flessibile. Insomma, favorire la qualità del lavoro. E ridimensionare drasticamente la diffusione del lavoro povero. Così da migliorare il potere d’acquisto delle retribuzioni. In questo senso, sono necessari tre passi:

1) un intervento più radicale sul cuneo fiscale;

2) il rinnovo dei contratti di lavoro alla loro scadenza naturale;

3) la revisione  dei meccanismi dell’Indennità di vacanza contrattuale e dell’Ipca, l’Indice dei Prezzi al consumo armonizzato.

Il mercato del lavoro, insomma, ha bisogno che ci si ricordi del concetto fissato 247 anni fa da Adam Smith: dal lavoro dipende la ricchezza della Nazione.

 


IL CLOUD DEL LAVORO 2023-2024

Il contributo di Cesare Damiano, Presidente dell’Associazione Lavoro & Welfare, già Ministro del Lavoro, è contenuto all’interno de “Il Cloud Del Lavoro 2023-2024“, l’annuale pubblicazione di Assolavoro che raccoglie al proprio interno riflessioni e proposte di esperti e manager delle Agenzie, giuslavoristi, economisti, rappresentanti istituzionali e sindacali, ministri, ex ministri e dirigenti pubblici.

L’obiettivo de Il Cloud del Lavoro è quello di offrire le coordinate più puntuali su regole, flessibilità, politiche attive, servizi, Agenzie per il Lavoro, dati, formazione, competenze, welfare, relazioni industriali, digitalizzazione, intelligenza artificiale e prospettive del mercato del lavoro tra il 2023 e 2024.

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