ALDO BOTTINI: DOPO LA PANDEMIA, I MACROTREND DEL DIRITTO DEL LAVORO

Published On: 30 Gennaio 2024|Categorie: Il Cloud del Lavoro|

Dopo la pandemia: i macrotrend del diritto del lavoro

Aldo Bottini, nel suo contributo pubblicato su “Il Cloud del Lavoro 2023-2024” esplora le dinamiche in evoluzione del panorama lavorativo post-pandemico, focalizzandosi sulle trasformazioni chiave. Dal crescente fenomeno del lavoro ibrido, alla priorità del benessere aziendale, agli sforzi per colmare il mismatch delle competenze. Il Giuslavorista nel suo scritto offre uno sguardo approfondito sui macrotrend del diritto del lavoro alla luce delle trasformazioni in atto, concentrandosi sulle iniziative supportate dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), comprese le normative sulla diversity & inclusion e l’innovativo ruolo del Disability Manager. Un’analisi distante e obiettiva di come le aziende stanno adottando strategie per creare ambienti di lavoro moderni e inclusivi, affrontando le sfide del presente con una prospettiva orientata al futuro.

 

Il contributo di Aldo Bottini tratto da “Il Cloud del Lavoro 2023-2024”


 

Il tempo che verrà: le prospettive

DOPO LA PANDEMIA:
I MACROTREND DEL DIRITTO DEL LAVORO

Lavoro ibrido, flessibilità e nuove articolazioni dell’orario

L’eredità più consistente del periodo pandemico è l’ormai acquisita e generale consapevolezza che lavorare da remoto si può.

Pressoché in tutte le organizzazioni si vanno consolidando forme di lavoro ibrido che prevedono l’alternanza, in misura variabile, tra lavoro in presenza e lavoro da remoto.

Nella maggior parte dei casi le modalità dell’alternanza sono predeterminate, 2/3 giorni alla settimana in presenza e il resto da remoto, o viceversa. Non manca però chi sperimenta invece uno smart working «in purezza», che non obbliga alla presenza e lascia al dipendente, eventualmente in accordo con il proprio responsabile, la scelta tra lavorare in presenza o da remoto. In entrambi i casi, la nuova organizzazione impone di ripensare quali siano le attività che è opportuno/necessario svolgere in presenza e quali invece quelle che possono (talvolta anche in maniera più proficua) essere espletate da remoto. In altre parole, si tratta di valorizzare entrambi i momenti (presenza in azienda e lavoro da remoto) per quello che possono dare. A ciò si aggiunga il non sempre facile compito di passare da una valutazione del lavoro basata sul tempo a una più evoluta basata sui risultati, che presuppone la capacità manageriale di assegnare obiettivi e verificarne il raggiungimento. Come è stato efficacemente detto, per fare bene smart working ci vogliono smart manager.

Non va neppure trascurato il fatto, sempre più spesso riportato da chi si occupa di recruiting, che l’esistenza di una politica di lavoro ibrido costituisce una importante leva di attraction, e quindi anche di retention del personale, soprattutto di quello più giovane e qualificato.

Accanto alla difficoltà di allontanarsi dallo schema tradizionale di command and control basato sul rispetto di un orario di lavoro, c’è quella di resistere, per quanto possibile, alla tentazione di considerare lo smart working una sorta di benefit da garantire a chi si trova (o si ritiene che si trovi) in una situazione sfavorevole o comunque meritevole di tutela: persone disabili o fragili, genitori di figli minori o disabili, caregivers. Se da un lato si tratta di un lascito della pandemia del quale si fatica a liberarsi, dall’altro sono ormai state stabilmente inserite nell’ordinamento disposizioni che prevedono priorità nell’accesso al lavoro agile per alcune di queste categorie di lavoratori.

È un tema certamente delicato. Se lo smart working può certamente rientrare tra gli accomodamenti ragionevoli per chi vive situazioni di difficoltà, transitorie o permanenti, al lavoro, non va dimenticato il rischio che simili obblighi normativi, inevitabilmente «rigidi», possono offrire una immagine distorta del lavoro agile, ovvero quella di una misura di sostegno per categorie deboli o in difficoltà, e non invece di uno strumento organizzativo che cambia il modo di lavorare di tutti, con l’obiettivo di incrementare efficienza e produttività.

Accanto allo smart working, si vanno diffondendo altre interessanti forme di flessibilità del tempo di lavoro, che consentano anche a chi, in relazione alle mansioni svolte, non può lavorare in modalità agile, di meglio conciliare lavoro e vita personale.

Si sperimenta ad esempio, in molte situazioni, la concentrazione del lavoro su quattro giorni alla settimana (in cui il lavoro può anche superare le tradizionali otto ore) a parità di retribuzione.

Con positive ricadute non solo sui lavoratori ma anche sull’ambiente e sui sistemi di trasporto pubblico e privato.

Wellbeing e welfare aziendale

Le iniziative volte a migliorare il benessere dei dipendenti si vanno moltiplicando all’interno delle aziende.

Alla base di questa tendenza vi sono due tipi di considerazioni.

La prima più contingente: l’offerta di una serie di servizi e benefit che rendono più attrattivo il luogo di lavoro e migliorano il clima aziendale è visto come uno strumento di attraction e retention, una risposta al fenomeno della great resignation.

La seconda è più strutturale, e si fonda sui risultati di numerosi studi che dimostrano come la soddisfazione e il coinvolgimento dei lavoratori possa migliorare i risultati aziendali.

Di qui quindi l’introduzione, in via unilaterale o negoziata con le rappresentanze sindacali, di servizi che vanno ben oltre quelli tradizionalmente offerti ai dipendenti, quali la mensa e l’asilo nido aziendale, e si spingono sino a farsi carico dei bisogni della persona anche al di fuori dei luoghi e degli orari di lavoro.

Con la stessa logica vengono ricalibrate le offerte delle piattaforme di flexible benefit.

Formazione e mismatch delle competenze

Formazione è la parola chiave per lo sviluppo futuro delle risorse umane.

Il Pnrr prevede (e finanzia) interventi di formazione sia nei confronti dei lavoratori in transizione e disoccupati, beneficiari di interventi di sostegno, sia nei confronti dei lavoratori occupati. Per questi ultimi viene rafforzato il Fondo Nuove Competenze, uno strumento istituito sperimentalmente nel 2020 che ha incontrato notevole successo. Il Fondo, gestito da Anpal, consente alle aziende, con accordo sindacale, di rimodulare l’orario di lavoro per destinarne una parte ad attività formative di aggiornamento professionale. Il costo delle ore utilizzate per la formazione viene in larga misura (60% della retribuzione e 100% dei contributi) posto a carico del Fondo. Resta a carico dell’azienda il costo dei formatori e delle strutture eventualmente utilizzate, per il quale è però possibile far ricorso ai Fondi Interprofessionali. Il progetto formativo, per essere finanziato, dovrà prevedere la verifica dei fabbisogni formativi, un assessment iniziale e una verifica finale dei risultati raggiunti. Il nuovo bando Anpal 2022 riserva il finanziamento all’aggiornamento professionale delle competenze legate alla transizione digitale ed ecologica.

Quanto al cosiddetto mismatch di competenze, è opinione comune che sistema di istruzione e formazione da un lato e mercato del lavoro dall’altro non si parlino, causando così difficoltà per le aziende nel reperire personale in possesso delle competenze richieste. Qualcosa però si sta muovendo, ed è importante che le aziende si attrezzino a cogliere le nuove opportunità.

Il Pnrr si propone, con un intervento per un ammontare complessivo di 600 milioni di euro, di rafforzare il cd. «sistema duale» e l’istituto dell’apprendistato.

In questo contesto, merita di essere rivalutato l’apprendistato duale, sinora scarsamente utilizzato rispetto al più diffuso apprendistato professionalizzante, a sua volta spesso visto soltanto come uno strumento di risparmio sul costo del lavoro. L’apprendistato duale, nelle sue due tipologie di apprendistato per la qualifica e il diploma professionale e di istruzione secondaria superiore (15-25 anni) e di apprendistato di alta formazione e ricerca (18-29 anni), permette di coniugare formazione e lavoro, creando un ponte tra il sistema di istruzione e le aziende, chiamati a interagire tra loro, con la stipula di uno specifico protocollo e (per quanto attiene in particolare all’apprendistato di alta formazione) con il dialogo collaborativo continuo tra tutor scolastico e tutor aziendale.

Una interazione ancora maggiore può realizzarsi laddove l’apprendistato di alta formazione si inserisca nella frequenza di un Istituto Tecnico Superiore (Its), una scuola di eccellenza ad alta specializzazione tecnologica post-diploma che sta prendendo sempre più piede nel nostro Paese, dopo il successo riscontrato in Francia e Germania. Si tratta di istituzioni formative realizzate con la partecipazione diretta delle imprese, che forniscono il 50% dei docenti e possono indirizzare il contenuto e gli indirizzi dei corsi verso le competenze effettivamente richieste dal mercato.

Le difficoltà amministrative e burocratiche, che spesso scoraggiano le aziende nell’approccio a questi strumenti, possono essere agevolmente superate ricorrendo all’apprendistato in somministrazione, che consente di avvalersi dell’esperienza e delle risorse delle agenzie.

Diversity & Inclusion

Un ambiente di lavoro inclusivo, scevro da discriminazioni e ispirato al principio di parità, contribuisce significativamente al wellbeing dei dipendenti che, come appare sempre più chiaro a tutti, costituisce una potente leva per attrarre e trattenere le persone.

Sotto questo profilo vi sono novità legislative, alcune già attuate e altre in arrivo, che testimoniano l’attualità e l’importanza del tema.

Il divieto di discriminazione
L’art. 2 della legge 162/2021 ha ampliato in modo significativo la nozione di discriminazione sul luogo di lavoro, modificando l’art. 25 del Codice delle Pari Opportunità (d.lgs. 198/2006). È stato ampliato il novero dei soggetti tutelati, potenziali vittime di comportamenti discriminatori sia diretti che indiretti. Infatti, oltre al personale già assunto sono ricompresi anche le candidate e i candidati in fase di selezione del personale.

Inoltre, sono espressamente inseriti tra le fattispecie che possono dar luogo a discriminazione anche atti di natura oggettiva quali le modifiche dell’organizzazione, delle condizioni e dei tempi di lavoro; è altresì riformulato il concetto di atto discriminatorio specificando che la discriminazione, può essere ravvisata in ogni condotta o atto che, anche potenzialmente, ponga il lavoratore in posizione di svantaggio rispetto alla generalità degli altri lavoratori, ne limiti le opportunità di partecipazione alla vita o alle scelte aziendali ovvero riduca le sue prospettive di carriera; e ciò non solo in relazione allo stato (e ai relativi diritti) di gravidanza, di maternità o paternità (come era sinora), ma anche in ragione del sesso, dell’età anagrafica, delle esigenze di cura personale o familiare.

La certificazione di parità di genere
La parità di genere è indicata come un obiettivo prioritario a livello internazionale (Agenda Onu 2030, EU Gender Equality Strategy 2020-2025). Secondo l’ultimo rapporto sulla parità di genere del World Economic Forum (WEF, 2021), nessun Paese al mondo ha colmato il divario di genere. Nella classifica globale stilata dal WEF, che vede al primo posto i Paesi del Nord Europa, l’Italia si colloca al 63esimo posto. Nel nostro Paese, le donne sono più istruite degli uomini (56% del totale delle persone laureate), tuttavia lavorano meno (il tasso di occupazione femminile è del 49,5% contro il 67,6% degli uomini), guadagnano meno (il differenziale medio è stimato nel 16%) e occupano in misura largamente inferiore agli uomini posizioni manageriali (27% contro il 73%).

La legge n. 162/2021 ha introdotto lo strumento della certificazione della parità di genere (sostenuto dal Pnrr con un finanziamento di 10 milioni di euro), che si propone di incentivare le imprese ad adottare politiche di riduzione del divario di genere. Consiste nella attestazione delle politiche e delle misure concrete adottate dai datori di lavoro per ridurre tale divario in relazione alle opportunità di crescita in azienda, alla parità salariale a parità di mansioni, alle politiche di gestione delle differenze di genere e alla tutela della maternità. Alla certificazione, rilasciata da organismi specificamente accreditati, sono collegati meccanismi di incentivazione (sgravi contributivi) e premialità nella concessione di aiuti di Stato e nella partecipazione agli appalti pubblici. C’è poi l’aspetto reputazionale, sempre più importante come testimonia la crescente attenzione di consumatori e investitori ai criteri di valutazione ESG (Enviromental, Social, Governance), all’interno dei quali l’impegno per la parità di genere può a buon diritto rientrare. Per ottenere la certificazione è necessario che sia verificata la sussistenza di una serie di parametri minimi, dettagliatamente individuati nelle linee guida contenute nella Prassi di riferimento UNI/Pdr 125:2022 pubblicata il 16 marzo 2022 e «validata» dal decreto ministeriale 29 aprile 2022, pubblicato il 1° luglio 2022. Le linee guida contengono specifici indicatori di performance (KPI), attraverso i quali misurare il grado di maturità di un’organizzazione sotto il profilo della parità di genere, raggruppati in sei macroaree: cultura e strategia, opportunità di crescita neutrali per genere, governance, processi HR, tutela della genitorialità e conciliazione vita lavoro, equità remunerativa per genere.

La disabilità
All’interno del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr – Missione n. 5 «Inclusione e coesione» – Componente 2 «Infrastrutture sociali, famiglie, comunità e Terzo settore») è prevista l’attuazione di una riforma della normativa sulle disabilità, con l’obiettivo del pieno raggiungimento dei principi della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità del 2006 (ratificata dall’Italia con la legge n. 18/2009).

A tal fine, lo scorso 31 dicembre è entrata in vigore la legge delega 22 dicembre 2021, n. 227, i cui decreti attuativi dovranno essere approvati entro il 30 giugno 2024.

Tra i criteri direttivi, la legge delega prevede, tra l’altro, l’introduzione nella legge n. 104/1992 della definizione di «accomodamento ragionevole», prevedendo adeguati strumenti di tutela coerenti con le disposizioni della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità.

Si prevede poi l’istituzione di un Garante nazionale delle disabilità, che sarà un organo di natura indipendente e collegiale, competente per la tutela e la promozione dei diritti delle persone con disabilità.

Parallelamente, si va diffondendo nelle aziende l’istituzione del Disability Manager (o Responsabile dell’inserimento lavorativo nei luoghi di lavoro), una figura già prevista dalla normativa del pubblico impiego e rilanciata nel settore privato dalle «Linee guida in materia di collocamento mirato delle persone con disabilità» adottate l’11 marzo 2022 dal Ministero del Lavoro (DM n. 43/2022), in attuazione di uno dei decreti del Jobs Act (d.lgs. n. 151/2015).

Il Disability Manager ha compiti di facilitazione/mediazione nell’inserimento e nella gestione del rapporto di lavoro delle persone disabili.

La crescente attenzione dell’ordinamento all’inclusione delle persone disabili è ulteriormente testimoniata dalle norme che impongono l’inserimento, nei bandi di gara relativi agli appalti pubblici e ai finanziamenti Pnrr e Pnc, di requisiti necessari (aver assolto agli obblighi di legge) e misure premiali (assunzioni oltre la soglia minima) riferiti all’inclusione lavorativa delle persone disabili, oltre all’applicazione di penali per l’inadempimento dell’appaltatore agli obblighi assunti sulla disabilità.

 


IL CLOUD DEL LAVORO 2023-2024

Il contributo dell’Avvocato Aldo Bottini è contenuto all’interno de “Il Cloud Del Lavoro 2023-2024“, l’annuale pubblicazione di Assolavoro che raccoglie al proprio interno riflessioni e proposte di esperti e manager delle Agenzie, giuslavoristi, economisti, rappresentanti istituzionali e sindacali, ministri, ex ministri e dirigenti pubblici.

L’obiettivo de Il Cloud del Lavoro è quello di offrire le coordinate più puntuali su regole, flessibilità, politiche attive, servizi, Agenzie per il Lavoro, dati, formazione, competenze, welfare, relazioni industriali, digitalizzazione, intelligenza artificiale e prospettive del mercato del lavoro tra il 2023 e 2024.

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