MASSIMIZZAZIONE DEI BENEFICI PER I DATORI CHE ASSUMONO DIPENDENTI IN SOMMINISTRAZIONE

11 Giugno 2024|Categorie: Comunicazione, Legale, Parlano di noi|

Di Rosario Salimbene, Responsabile area legale e sindacale Assolavoro

Le categorie dei lavoratori svantaggiati (e molto svantaggiati), individuate dal regolamento Ue 651/2014, abbracciano le più rilevanti fasce “deboli” del mercato del lavoro, ritenute dal legislatore comunitario (e nazionale), in quanto tali, meritorie di interventi normativi che ne favoriscano l’inserimento o il reinserimento lavorativo. Ci si riferisce in particolare a chi non ha un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi, ai giovani under 25 anni, ai soggetti privi di un diploma di scuola media superiore, agli over 50, alle donne in determinati settori produttivi eccetera.

Lo “svantaggio” quindi determina il beneficio normativo, in applicazione del principio costituzionale di uguaglianza sostanziale, al fine di assicurare a queste categorie di lavoratori maggiori opportunità di ricollocamento.

Tale concetto viene massimamente realizzato nel lavoro in somministrazione.

Vediamo come. In primo luogo occorre sgombrare il campo da ogni dubbio: le agenzie per il lavoro possono assumere personale in somministrazione unicamente con contratti di lavoro subordinato, e quindi a termine, a tempo indeterminato e in apprendistato.

E le aziende, poiché devono per legge ristorare le agenzie del costo del lavoro effettivamente sostenuto, beneficiano di tutti gli incentivi di cui i lavoratori sono portatori. In altre parole, gli incentivi che spettano alle aziende nel caso assumano direttamente lavoratori svantaggiati (e non), vengono riconosciuti anche nel caso impieghino tali lavoratori in somministrazione: «Con riferimento al contratto di somministrazione i benefici economici legati all’assunzione o alla trasformazione di un contratto di lavoro sono trasferiti in capo all’utilizzatore».

In relazione al requisito dello svantaggio vengono previsti una serie di incentivi economici/contributivi come, a titolo esemplificativo, in caso di lavoratori over 50, di donne residenti in aree svantaggiate o impiegate in settori con disparità di genere, eccetera.

Ma, in caso di impiego di lavoratori svantaggiati, ed esclusivamente qualora le aziende ricorrano alla somministrazione di lavoro, a questi benefici se ne sommano altri di natura normativa e a costo zero per la finanza pubblica. Ci si riferisce in particolare alle deroghe ai cosiddetti limiti di contingentamento previsti dalla legge, o dalla contrattazione collettiva, in caso di utilizzo di lavoro flessibile. Sia per il contratto a termine che per il lavoro in somministrazione il Digs 81/2015 infatti prevede dei limiti numerici di utilizzo (20% o 30%) tarati sulla forza lavoro a tempo indeterminato dell’azienda.

Si contingenta, in buona sostanza, il lavoro flessibile, ma non in caso di impiego in somministrazione (e, ribadiamo, solo in somministrazione) di talune categorie di lavoratori, tra cui, appunto, i soggetti svantaggiati. Infatti, sia per la somministrazione a termine che a tempo indeterminato (recente novità introdotta dal decreto Lavoro), è in ogni caso esente da limiti quantitativi la somministrazione di lavoratori svantaggiati o molto svantaggiati.

Corollario di tale disposizione è che poiché i limiti di contingentamento non operano è possibile impiegare in somministrazione tali categorie *deboli” del mercato del lavoro anche in caso di aziende utilizzatrici senza dipendenti, purché ovviamente siano rispettate le disposizioni inerenti alla salute e alla sicurezza nei luoghi di lavoro.

In conclusione, quindi, l’appartenenza a una categoria di svantaggio determina, opportunamente, una maggiore possibilità di ricollocazione. Amplificata, come visto, in caso di somministrazione di lavoro.