LUCA FAILLÀ: IL FUTURO DEL LAVORO SI GIOCA SU LAVORO IBRIDO MA CON ATTENZIONE A ETICA E SOSTENIBILITÀ

30 Aprile 2024|Categorie: Comunicazione, Il Cloud del Lavoro|

Il futuro del lavoro si gioca sul lavoro ibrido ma con attenzione a etica e sostenibilità

Luca Faillà, Professore e Avvocato giuslavorista, ne il “Cloud del Lavoro 2023-2024” si interroga sulle prospettive future del mercato del lavoro a partire dall’ingresso delle nuove tecnologie nell’organizzazione del lavoro avvenuto durante la pandemia. Faillà sostiene che la discussione sul tema del futuro del lavoro oggi non può non tener conto dell’innovazione tecnologica e dell’Intelligenza Artificiale. Se prima della pandemia infatti il focus erano i nuovi modelli organizzativi, ora bisogna affrontare la sfida della transizione tecnologica e analizzarne le implicazioni per identificare gli ambiti in cui si svilupperà il lavoro di domani.

Martin Ford, già nel 2017, teorizzava il rischio di una “tempesta perfetta” in cui la disoccupazione tecnologica e l’impatto sull’ambiente si sarebbero amplificati reciprocamente. Tuttavia, lo stesso Ford riconosceva che sfruttare appieno i progressi tecnologici e adattarsi alle loro conseguenze avrebbe portato a esiti positivi.

Durante la pandemia si è reso palese quanto sia importante la possibilità di lavorare da remoto sfruttando la tecnologia. Inoltre, la sostenibilità, in termini di gestione etica delle risorse umane, è diventata un elemento cruciale per le aziende. Questo approccio multi-stakeholder ha influito sul rinnovamento dei modelli di business, ponendo le persone e l’innovazione sociale al centro.

Oggi i giovani, cresciuti con la tecnologia, cercano sempre più lavori che consentono una gestione autonoma del tempo e dello spazio di lavoro. L’autonomia e la flessibilità diventano fondamentali, sia nel lavoro subordinato che in quello autonomo.

In conclusione, il futuro del lavoro è guidato dalla tecnologia, ma anche dalla responsabilità etica e sociale delle aziende. Sostenibilità, autonomia e rispetto delle persone sono i pilastri su cui poggerà il lavoro del futuro.

Il contributo di Luca Faillà tratto da “Il Cloud del Lavoro 2023-2024”


 

Il tempo che verrà: le prospettive

IL FUTURO DEL LAVORO SI GIOCA SU LAVORO IBRIDO MA CON ATTENZIONE A ETICA E SOSTENIBILITÀ

In che termini possiamo parlare oggi di futuro del lavoro?

Se dopo i due anni di pandemia l’interrogativo portava a ragionare sui nuovi modelli organizzativi (totalmente da remoto ovvero in presenza) e sull’acquisizione delle capacità necessarie a organizzare, gestire, coordinare e misurare la prestazione lavorativa secondo il modello ibrido (parte in presenza e parte in remoto) che si sta ormai affermando nel postpandemia, oggi la sfida si compone di un elemento nuovo e più complesso, frutto delle riflessioni sempre più marcate in merito all’ingresso di tecnologia e intelligenza artificiale nelle attività lavorative.

La tecnologia è oggi fattore di innovazione non solo nelle attività produttive ma in generale nell’organizzazione del lavoro. Tuttavia, diviene sì essenziale comprenderne il valore ma anche analizzarne tutte le possibili implicazioni, perché senza questa consapevolezza non è possibile identificare quali saranno gli ambiti entro i quali si svilupperà il lavoro di domani.

Solo 5 anni fa, nel 2017, a conclusione della propria analisi sul futuro del lavoro Martin Ford – imprenditore della Silicon Valley attivo nel campo dell’intelligenza artificiale – teorizzava che «il rischio più grave è che potremmo dover affrontare una «tempesta perfetta», una situazione in cui la disoccupazione tecnologica e l’impatto sull’ambiente procederanno più o meno in parallelo, rinforzandosi e magari addirittura amplificandosi a vicenda. Se però riuscissimo a sfruttare appieno i sempre maggiori progressi della tecnologia – al tempo stesso riconoscendo le sue conseguenze sull’occupazione e sulla distribuzione dei redditi e adattandoci a esse – gli esiti saranno probabilmente più ottimistici».

Parole profetiche.

In definitiva l’autore indicava come, l’ingresso sempre più massiccio della tecnologia nelle attività di lavoro, indotto da sempre più elevati obiettivi di produttività e di crescita, accompagnato alle possibili conseguenze sull’ambiente di una crescita economica non coerente con la necessità di preservare e salvaguardare le risorse di tutti, oltre a produrre disoccupazione tecnologica, avrebbe portato anche ad accrescere la preoccupazione delle persone sulla tenuta di quello che costituisce il fondamento dell’economia individuale e familiare: il lavoro e il salario.

Ma anche sul posto che il lavoro è destinato a occupare quando subentrano sconvolgimenti esterni o di contesto, come era percepita fino ad alcuni anni fa la (sola) rivoluzione tecnologica.

Ebbene, gli anni della pandemia e l’attuale situazione di emergenza energetica – eventi che hanno portato un vero e proprio stravolgimento delle nostre abitudini di vita come di lavoro – hanno posto sotto gli occhi di tutti quanta importanza ha non solo la possibilità di continuare a lavorare in una situazione di emergenza – da remoto, quindi avvalendosi proprio della tecnologia – ma anche e forse soprattutto, quanta importanza riveste la possibilità di determinare e di scegliere il proprio percorso di vita e di carriera.

Parlare di lavoro ibrido senza la piena consapevolezza del ruolo che ciascuno può avere per il futuro proprio e delle organizzazioni in cui si è chiamati a operare, significa non comprendere pienamente che il mondo e il lavoro di una volta non esistono più e che un’organizzazione del lavoro di fatto «dematerializzata» in termini di spazio e di tempo, deve restare al centro dei bisogni individuali e collettivi dei territori in cui si opera. E questo è oggi il frutto non solo del massiccio ingresso della tecnologia e dell’intelligenza artificiale nel lavoro ma soprattutto dei desideri e delle aspirazioni delle nuove generazioni, le più emotivamente colpite dagli eventi degli ultimi anni. Si tratta di quell’approccio multi-stakeholder che sta iniziando a influenzare il rinnovamento dei modelli di business, centrandoli sulle persone e l’innovazione sociale e ponendo sullo stesso piano – in termini di reputazione – coloro che operano all’interno dell’azienda e le comunità e i territori di riferimento.

Significa in primo luogo parlare in modo concreto di sostenibilità con attenzione etica non solo a come si produce e alle risorse che si impiegano ma anche a come si gestiscono le persone.

Come affermato da alcuni più recenti lavori (Polman) non si può pensare di cambiare il posizionamento di un’azienda nei confronti dei clienti, se prima non si sia affrontato il tema della reputazione dall’interno dell’organizzazione. Sostenibilità non vuol dire soltanto – come si potrebbe pensare – produrre in modo green ed essere attenti a non sprecare risorse e materie prime (risparmiando la carta delle fotocopiatrici per intenderci), ma guardare anche (e forse, soprattutto) al proprio business partendo dal livello di comunicazione interno e dall’engagement di coloro che tutti i giorni portano avanti l’attività di un’impresa, identificando gli ambiti in cui vi è maggiore forza e quelli che registrano invece maggior debolezza in termini di reputazione interna. Perché saranno proprio questi gli ambiti in cui anche la reputazione esterna dovrà essere rafforzata. Soprattutto a beneficio delle future generazioni, come messo in evidenza già alla fine degli anni ’80 nel rapporto della Commissione Onu Our Common Future: «lo sviluppo sostenibile è quello sviluppo che consente alla generazione presente di soddisfare i propri bisogni senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri».

Obiettivi dei quali le nuove generazioni sono particolarmente consapevoli, unitamente al desiderio di lavorare in organizzazioni di cui ci si senta veramente parte.

I dati diffusi a ottobre 2022 dall’Osservatorio del Politecnico di Milano dicono che il modello del lavoro da remoto – che prima della pandemia interessava circa 600.000 lavoratori – resterà a partire dal 2023 per circa più di 3,5 milioni di persone. Un numero enorme se confrontato con la popolazione dei lavoratori attivi in Italia.

Sappiamo, inoltre, che nella ricerca di una occupazione o di una azienda da parte dei giovani la possibilità di gestire in autonomia tempo e spazio di lavoro costituisce oggi un presupposto fondamentale per poter avere migliori equilibri di vita. Perché proprio nei giovani, cresciuti con la tecnologia, non vi è più una netta separazione tra vita e lavoro, mentre è divenuto fondamentale costruire il proprio futuro professionale (che sia di lavoro subordinato o, meglio, di lavoro autonomo) attraverso un lavoro che consenta di ricevere i mezzi necessari per vivere ma che allo stesso tempo non occupi ogni spazio di vita.

Il lavoro, quindi, non va più interpretato attraverso la semplice contrapposizione tra lavoro subordinato e lavoro autonomo, ossia secondo i modelli gerarchici tradizionali del vecchio schema tradizionale, ma sulla base della capacità di costruire ecosistemi in cui è l’organizzazione delle attività a guidare le persone verso l’autonomia o verso la subordinazione, anche sulla base di scelte di vita individuali.

A patto di poter contare su un reale equilibrio nei rapporti contrattuali, essenziale per sostenere in modo effettivo nella moderna organizzazione del lavoro – molto flessibile – anche la forma contrattuale del (vero) lavoro autonomo. Perché i rapporti di forza e la valutazione della parte «debole» del contratto di lavoro non sono più solo prerogativa del lavoro subordinato.

Nelle giovani generazioni è divenuta molto forte questa esigenza. Sono loro, infatti, oggi quelli più propensi a cambiare lavoro e anche professione, fino a intraprendere la strada del lavoro autonomo quando, in possesso di competenze tecnico-specialistiche elevate, non riescono a intravedere in un’offerta di lavoro «salariato» la possibilità di costruirsi un ruolo all’interno dell’organizzazione aziendale che li valorizzi in termini di crescita e li soddisfi anche (soprattutto) dal punto di vista umano. Che tenga conto, in definitiva del bagaglio di esigenze individuali e familiari che ciascuno porta con sé nella vita e nel lavoro. Perché vita e lavoro non sono più separati e l’attenzione ai bisogni che ciascuno porta con sé nelle organizzazioni concorre a determinare il senso e il significato più profondo degli obiettivi di welfare con cui molte aziende stanno ripensando la loro intera organizzazione.

Divenire cioè «arbitri del proprio destino» contribuendo a ridefinire anche quello del pianeta che ci ospita guiderebbe in pratica questo nuovo approccio al lavoro in cui senso etico, responsabilità e soprattutto autonomia possono contribuire a costruire le basi per accompagnare le trasformazioni in atto nel lavoro, accelerate dalla tecnologia e dalla ricerca di soluzioni tecniche e scientifiche per risolvere i molti problemi generati da scelte macro-economiche che hanno contribuito a condurci al punto in cui ci troviamo oggi.

Sostenibilità vuol dire in sostanza, per l’impresa di oggi, trovare il giusto punto di equilibrio tra profitto e benessere, inteso quest’ultimo come attenzione alle persone, al territorio e alle comunità di riferimento, con un occhio sempre proiettato in avanti a favore delle future generazioni. Si parla in questi casi di «visione intergenerazionale dello sviluppo».

Quel più alto principio di libertà di iniziativa economica che anche il nuovo testo dell’art. 41 Cost. porta con sé, quando individua quali limiti di rango costituzionale a tale fondamentale libertà, ponendoli sullo stesso piano, la tutela tanto della salute quanto dell’ambiente.

Solo così l’impresa (etica e sostenibile) potrà divenire anche modello responsabile di innovazione sociale e lavorativa, perché guidata da quelli che sono stati definiti i quattro pilastri della sostenibilità: Governance: responsabilità e rendicontazione; Planet: attenzione al pianeta; People: rispetto e dignità nei confronti delle persone (all’interno e all’esterno dell’azienda); Prosperity: cioè profitto non fine a sé stesso.

 


IL CLOUD DEL LAVORO 2023-2024

Il contributo di Luca Faillà, Professore a contratto dell’Università Lum De Gennaro – Bari e Avvocato giuslavorista, è contenuto all’interno de “Il Cloud Del Lavoro 2023-2024“, l’annuale pubblicazione di Assolavoro che raccoglie al proprio interno riflessioni e proposte di esperti e manager delle Agenzie, giuslavoristi, economisti, rappresentanti istituzionali e sindacali, ministri, ex ministri e dirigenti pubblici.

L’obiettivo de Il Cloud del Lavoro è quello di offrire le coordinate più puntuali su regole, flessibilità, politiche attive, servizi, Agenzie per il Lavoro, dati, formazione, competenze, welfare, relazioni industriali, digitalizzazione, intelligenza artificiale e prospettive del mercato del lavoro tra il 2023 e 2024.

Assolavoro pubblica in esclusiva ogni settimana un contributo tratto dalla pubblicazione con l’obiettivo di stimolare il dibattito online sul futuro del mercato del lavoro.

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