LUCA CIFONI: IL CROLLO DEL NUMERO DEI LAVORATORI E LA SOSTENIBILITÀ DELLO STATO SOCIALE
Il crollo del numero dei lavoratori e la sostenibilità dello stato sociale
Luca Cifoni, storica firma de Il Messaggero recentemente scomparso, esperto di lavoro e welfare, ne il “Cloud del Lavoro 2023-2024” aveva esaminato gli effetti della denatalità sul mercato del lavoro e il sistema del welfare in Italia. Negli ultimi dieci anni la popolazione attiva italiana è diminuita drasticamente. Nel 2011 si contavano 39,3 milioni di persone, ma già nel 2022 è scesa a 37,5 milioni. Secondo le previsioni dell’Istat, nel 2030 ci saranno 35,6 milioni di persone in età da lavoro, fino a scendere a 28,9 milioni nel 2050. Tale contrazione demografica rappresenta ora una sfida cruciale per il mercato del lavoro e per la sostenibilità di un welfare state.
Il crollo demografico della popolazione attiva già ora determina notevoli difficoltà nel reperimento di personale qualificato nel mercato del lavoro, dove si riscontra un largo disallineamento tra competenze richieste e quelle disponibili. La situazione più critica in termini di reperimento di personale è rilevata nel settore delle costruzioni e tra i giovani laureati, molti dei quali scelgono di trasferirsi all’estero.
Per affrontare questa sfida è necessario, dunque, aumentare il tasso di partecipazione al lavoro, puntando soprattutto su donne e giovani, nonché adottare politiche migratorie ad hoc per attirare e trattenere personale qualificato. Solo così l’Italia potrà sostenere la propria economia e il welfare state nel lungo termine.
Il contributo di Luca Cifoni tratto da “Il Cloud del Lavoro 2023-2024”
Il tempo che verrà: le prospettive
IL CROLLO DEL NUMERO DEI LAVORATORI E LA SOSTENIBILITÀ DELLO STATO SOCIALE
Nel 2011 sfioravano i 39,3 milioni. Otto anni dopo, nel 2019, erano già un milione in meno. Ma in realtà la discesa era appena iniziata: solo altri tre anni e siamo al 2022, quando il totale della popolazione italiana di età compresa tra i 15 e i 64 anni non arrivava a quota 37,5 milioni, con la perdita di altre 800 mila persone. Un calo vistoso che si è poi trasformato in crollo repentino, mettendo insieme in poco più di un decennio una contrazione del 4,5%. Nel nostro Paese la diminuzione dei residenti è in corso da nove anni con conseguenze preoccupanti a vari livelli; ma per chi osserva da vicino il mondo del lavoro il dato cruciale è quello che riguarda uno specifico (ma consistente) sottoinsieme del totale. Appunto coloro che hanno tra 15 e 64 anni, la fascia che normalmente è identificata con quella della popolazione attiva.
Come molte definizioni convenzionali, anche questa non è perfetta: ma la sostanza del discorso che stiamo facendo rimarrebbe la stessa anche se spostassimo in avanti sia il limite superiore che quello inferiore, prendendo atto da una parte della rarefazione del lavoro dei minorenni e dall’altra del progressivo avanzamento dell’età della pensione, o almeno di quella legale. Parlare dell’arco di età 20-69 non sarebbe molto diverso: attenendoci allora al tradizionale intervallo 15-64 proviamo a fare un salto nel futuro. Secondo le previsioni messe a punto dall’Istat, già nel 2030 il numero dei potenziali lavoratori scenderà a 35,6 milioni, per poi crollare a 28,9 milioni nel 2050.
È tutta in questi numeri la sfida che il nostro Paese dovrà affrontare: una sfida che tocca il lavoro ma anche la sostenibilità dello Stato sociale. Non è solo un problema di domani: l’assottigliamento della «base» si sta già facendo sentire ed è una delle cause delle difficoltà sperimentate in questi mesi da aziende e amministrazioni pubbliche nella loro ricerca di professionalità. Difficoltà acuite dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), la cui ingente dote finanziaria è in grado di generare centinaia di migliaia di posti aggiuntivi, che però rischiano almeno in parte di restare scoperti.
Quelle che mancano, e sempre di più mancheranno, non sono necessariamente competenze elevate. Il fattore demografico si incrocia con la storica carenza del nostro sistema sulle politiche attive e con la situazione di skills mismatch descritta ormai in molte analisi. In questo senso è significativo il caso delle costruzioni. Il settore ha conosciuto una forte ripresa legata alla spinta degli incentivi (con in testa il superbonus) e anche al progressivo avvio dei progetti del Pnrr. Dai racconti degli imprenditori ma anche dalle rilevazioni statistiche emerge una crescente fatica nel reclutare personale lungo tutta la filiera occupazionale, dagli ingegneri agli operai più o meno specializzati. E questo nonostante l’esistenza del sistema delle scuole edili, che rappresenta un modello a cui in questa fase guardano anche altri comparti.
Per quanto riguarda poi le professionalità più qualificate, incide – pur se con numeri complessivi meno consistenti – anche il flusso di giovani laureati verso l’estero, che penalizza in particolare le Regioni meridionali. Secondo i dati Istat, tra il 2012 e il 2021 hanno lasciato il Paese con il diploma universitario nella valigia 120 mila residenti di età compresa tra i 25 e i 34 anni; sottraendo i 41 mila che nello stesso periodo sono rientrati si ottiene un saldo negativo di 79 mila unità. È appena il caso di ricordare che si tratta di persone sulla cui formazione sono stati fatti investimenti rilevanti, in larga parte a carico del bilancio pubblico attraverso il sistema universitario. Investimenti che ora hanno il loro ritorno sociale ed economico al di fuori dei confini nazionali.
Dall’analisi, per quanto sommaria, proviamo a passare a un ragionamento sulle possibili soluzioni, senza addentrarci in questa sede in considerazioni sui diversi scenari tecnologici che potrebbero materializzarsi. Quali cambiamenti potrebbero aiutarci tra più o meno trent’anni a far funzionare il Paese con qualcosa come otto-nove milioni di potenziali lavoratori in meno? Su un piano quantitativo, le analisi sulla futura sostenibilità del welfare state (ad esempio il Rapporto della Ragioneria generale dello Stato sulle «Tendenze di medio e lungo periodo del sistema pensionistico e socio sanitario») danno quasi per scontato un notevole incremento del tasso di partecipazione, che dovrebbe in qualche modo bilanciare la graduale uscita del mondo del lavoro dei baby boomers. L’obiettivo è un’incidenza degli occupati sulla popolazione tra 15 e i 64 anni stabilmente al di sopra del 60% già dei prossimi anni, e poi in costante crescita. Anche se i segnali più recenti incoraggiano un moderato ottimismo, si tratta di un risultato non banale, al quale contribuirebbe in modo decisivo l’aumento degli attivi nelle due grandi platee delle donne e dei giovani: per entrambe i tassi italiani sono storicamente al di sotto della media europea.
Un’altra leva importante, almeno sulla carta, è quella dell’immigrazione. Flussi migratori più robusti di quelli incorporati nello scenario mediano delle previsioni Istat (che comunque assume un saldo positivo di oltre 130 mila unità l’anno) permetterebbero di contenere la prevista contrazione del bacino dei potenziali lavoratori. Soprattutto però servirebbe un approccio mirato, fatto di politiche in grado di attrarre personale qualificato e selezionare le professionalità maggiormente necessarie. Approccio che a sua volta presuppone una piena consapevolezza del problema da parte del decisore politico, e scelte piuttosto diverse da quelle fatte (o non fatte) negli ultimi anni.
IL CLOUD DEL LAVORO 2023-2024
Il contributo di Luca Cifoni, storica firma de Il Messaggero recentemente scomparso, esperto di lavoro e welfare, è contenuto all’interno de “Il Cloud Del Lavoro 2023-2024“, l’annuale pubblicazione di Assolavoro che raccoglie al proprio interno riflessioni e proposte di esperti e manager delle Agenzie, giuslavoristi, economisti, rappresentanti istituzionali e sindacali, ministri, ex ministri e dirigenti pubblici.
L’obiettivo de Il Cloud del Lavoro è quello di offrire le coordinate più puntuali su regole, flessibilità, politiche attive, servizi, Agenzie per il Lavoro, dati, formazione, competenze, welfare, relazioni industriali, digitalizzazione, intelligenza artificiale e prospettive del mercato del lavoro tra il 2023 e 2024.
Assolavoro pubblica in esclusiva ogni settimana un contributo tratto dalla pubblicazione con l’obiettivo di stimolare il dibattito online sul futuro del mercato del lavoro.