EMMANUELE MASSAGLI: IL MERCATO DEL LAVORO ITALIANO, TRA DENATALITÀ E PARADOSSI
Il mercato del lavoro italiano, tra denatalità e paradossi
Emmanuele Massagli, Professore presso l’Università Lumsa e Presidente Fondazione Ezio Tarantelli, ne il “Cloud del Lavoro 2023-2024” esamina le sfide del mercato del lavoro in Italia alla luce della crescente denatalità e del disallineamento delle competenze. Il mercato del lavoro in Italia offre una visione complessa e contraddittoria, lontana dai precedenti cliché sui bassi tassi di occupazione e l’inefficacia delle politiche attive. Due elementi emergono, invece, come fattori cruciali: il declino demografico e il deficit di competenze. Aggiungendo a ciò i tradizionali problemi del mercato del lavoro, si creano nuovi paradossi difficili da risolvere con le consuete analisi.
Il declino demografico: l’Italia sta affrontando un drammatico calo demografico, dal quale si prevede che la popolazione scenderà a 57,9 milioni nel 2030, a 54,2 milioni nel 2050 e a 47,7 milioni nel 2070. Il rapporto tra persone in età lavorativa e non lavorative passerà dunque da 3:2 a 1:1 entro il 2050, con una media di 1,2 figli per donna, numeri insufficienti per garantire il ricambio generazionale.
Negli ultimi anni si è, inoltre, registrato un aumento delle dimissioni volontarie, spesso dovute alla ricerca di salari più alti e migliori condizioni lavorative. Questo fenomeno va a sottolineare la fluidità del mercato del lavoro italiano e la difficoltà delle aziende nel trattenere le risorse. La sfida attuale che si prospetta per il sistema educativo e le politiche attive è colmare il gap formativo e motivazionale dei giovani per contenere quegli effetti negativi della denatalità e del mismatch.
L’Italia deve, dunque, far fronte a questi paradossi adottando politiche innovative e riforme strutturali così da trasformare le sfide attuali in opportunità di crescita e sviluppo sostenibile.
Il contributo di Emmanuele Massagli tratto da “Il Cloud del Lavoro 2023-2024”
Il tempo che verrà: le prospettive
IL MERCATO DEL LAVORO ITALIANO, TRA DENATALITÀ E PARADOSSI
Cosa sta succedendo al mercato del lavoro italiano? L’andamento dei dati nel 2022 e le prime proiezioni del 2023 ci restituiscono una fotografia piuttosto distante dal ritornello ripetuto in passato, incentrato sui bassi tassi di occupazione e sui limiti delle politiche attive. Beninteso, queste croniche distorsioni sono ancora attuali, non si tratta certamente di nodi che il legislatore e le parti sociali hanno saputo sciogliere. L’elemento di novità è, invece, rappresentato da due fattori che, miscelati insieme agli antichi ingredienti degli scompensi del mercato del lavoro nostrano, generano un concentrato di paradossi che vengono troppo velocemente cristallizzati nelle ricette «pronte all’uso» contenute negli editoriali dei quotidiani e delle riviste di settore.
Gli addendi che aggravano la situazione sono il declino demografico e il deficit di competenze dei lavoratori italiani. Può apparire curioso considerare come «nuovi», tanto più in chiave problematica, un dato demografico assai noto e le conseguenze della, pur positiva, ripresa della produzione e del commercio mondiale, ma in effetti questi elementi stanno avendo sulla mistura dell’occupazione italiana un effetto corrosivo e non dolcificante.
Il declino demografico
Per quanto concerne l’inverno della natalità, come ha scritto lo statistico Roberto Volpi: «Andiamo incontro al disastro serenamente travolti dall’ordinarietà». Le ultime previsioni demografiche pubblicate dall’Istat raccontano di una vera e propria Caporetto, più che una ritirata: la popolazione residente composta da 59,2 milioni di persone al 1° gennaio 2021, ne conterà 57,9 mln nel 2030, 54,2 mln nel 2050 e 47,7 mln nel 2070. Il rapporto tra individui in età lavorativa (15-64 anni) e coloro che non lavorano (0-14 e 65 anni e più) passerà da circa tre a due nel 2021 a circa a uno a uno nel 2050. La media dei figli per donna è 1,2, un numero che non garantisce neanche il tasso di sostituzione: lo scenario futuro potrebbe essere perciò anche più fosco di quello calcolato dall’Istat.
Se si considera che non tutti coloro che potrebbero farlo effettivamente lavorano, essendo il tasso di occupazione italiano attorno al 58% (quindi vi sono più «non lavoratori» per ogni lavoratore attivo), sono evidenti le conseguenze di questo scenario sull’architettura del nostro welfare, che, come noto, essendo la nostra una Repubblica «fondata sul lavoro», è di tipo assicurativo ed è alimentato dai contributi delle persone attive. Meno lavoratori, quindi, non vuole dire solo meno crescita economica e meno ricchezza, ma anche meno servizi essenziali (pensioni, sanità, scuola, politiche sociali).
Neanche l’immigrazione straniera ha fermato l’invecchiamento italiano: l’età media è oggi di 44 anni, a fronte dei 38 di soli venticinque anni fa. Particolarmente significativi i dati sui giovani: abbiamo nel 2022 meno 3,6 milioni di under 35 rispetto a quanti ve ne erano nel 2000; altrettanti saranno persi nei prossimi dieci (e non più venti) anni. Gli over 45 sono invece cresciuti di 4,2 milioni.
Il paradossale impatto sul mercato del lavoro
A parità di saldi della bilancia commerciale, della richiesta di beni e servizi e di condizione economica, la diminuzione della popolazione in età lavorativa dovrebbe comportare un incremento dei tassi di occupazione: i posti di lavoro restano gli stessi, ma minore è il numero di persone che può occuparli. Effettivamente questo fenomeno va verificandosi, ma soltanto per i lavoratori adulti, con competenze subito spendibili. Permane, al contrario, il paradosso del mercato del lavoro giovanile: pur essendo sempre meno la «concorrenza», sono ancora oltre 3 milioni i giovani che non studiano e non lavorano (c.d. Neet, Not in Education, Employment or Training – dati Eurostat 2022 riferiti alla fascia di età 15-34 anni).
A questo dato (comprendente gli inattivi) si sommi, almeno parzialmente, quello relativo agli 855.000 giovani nella stessa fascia di età disoccupati a dicembre 2022 per vedersi restituito un disegno apparentemente incomprensibile.
Così elevati tassi di inattività e disoccupazione, infatti, potrebbero spiegarsi in un momento di recessione dell’economia e del mercato del lavoro. Eppure, così non è, anzi. Il tasso di occupazione (dati trimestrali e stagionalizzati Istat) cresce costantemente dal terzo trimestre del 2020 e ha superato i livelli pre-Covid.
Non solo: i dati su licenziamenti e dimissioni comunicati recentemente dall’Inps (Osservatorio su lavoro e precariato, gennaio 2023), che tanta eco hanno generato sui media, sono un segnale inequivocabile della fluidità del mercato del lavoro italiano in questo momento. Come spiegato dalla Banca d’Italia (2021) e dalla Fondazione Studi dei Consulenti del lavoro (2022), le «grandi dimissioni» alla italiana non sono prioritariamente dettate dalla riscoperta di una più riuscita conciliazione vita professionale-vita privata, quanto dalla opportunità di cambiare posto di lavoro ottenendo stipendi più elevati, nello stesso settore (anche in ambiti low skilled come l’edilizia). Mai come in questo periodo gli imprenditori italiani hanno ricevuto richieste di aumento che, quando non accolte (spesso per evitare l’effetto di emulazione interna), sono diventate vere e proprie dimissioni. Come efficacemente raccontato da un piccolo imprenditore metalmeccanico in un convegno della sua associazione datoriale: «Che fare? Se il dipendente va via, non riesco a sostituirlo in tempi brevi e con lo stesso costo e quindi perdo le commesse; se rimane, il giorno dopo mi vengono tutti a chiedere un aumento».
È questo il fenomeno nascosto dietro al dato di 1,6 milioni di dimissioni registrate nei primi nove mesi del 2022, il 22% in più rispetto allo stesso periodo del 2021; la seconda causa di cessazione dei rapporti di lavoro dopo la scadenza dei contratti a termine. Nella larga maggioranza dei casi, le persone si dimettono (perdendo così anche la possibilità di accesso alla Naspi) per sottoscrivere un nuovo contratto, si presume più ricco, o sotto il profilo economico o sotto quello del riconoscimento professionale e della gestione del tempo (non a caso è difficile oggi per una azienda dei servizi attrarre talenti senza proporre qualche giorno di smart working o piani di welfare aziendali dedicati).
Ecco però il paradosso: come mai le aziende si contendono a colpi di rialzo della busta paga i lavoratori che già sono occupati quando potrebbero attingere a costi ben più bassi e con maggiore prospettiva di crescita da quel bacino di quasi 4 milioni di giovani con meno di 35 anni che non lavorano? Come mai non si osserva in Italia uno dei pochi risvolti positivi della minore densità di popolazione (una più semplice competizione per l’ottenimento dei posti di lavoro)?
Formazione e politiche attive
È di tutta evidenza che il nodo sia da individuarsi nel grado di «preparazione al lavoro» (che è un tema di competenze e formazione, certamente, ma anche di assetto motivazionale, soft skills e concezione del valore del lavoro) dei più giovani. Quella dei nati dopo il 1990 non solo è una generazione poco popolosa, ma anche in balia di percorsi formativi deboli e di sentieri di carriera discontinui, che non permettono l’accesso alle professioni più richieste anche in un momento di crescita come quello attuale.
Questa è la sfida che i sistemi di istruzione e formazione (scuole, centri di formazione professionale, Its, università) e ancor più delle politiche attive (tanto i servizi pubblici per l’impiego quanto le agenzie per il lavoro) sono chiamati a vincere nei prossimi anni. Non tanto per incrementare i propri fatturati, quanto per provare a contenere l’effetto esplosivo di denatalità e mismatch formativo sull’impianto di welfare italiano.
IL CLOUD DEL LAVORO 2023-2024
Il contributo di Emmanuele Massagli, Professore presso l’Università Lumsa e Presidente Fondazione Ezio Tarantelli, è contenuto all’interno de “Il Cloud Del Lavoro 2023-2024“, l’annuale pubblicazione di Assolavoro che raccoglie al proprio interno riflessioni e proposte di esperti e manager delle Agenzie, giuslavoristi, economisti, rappresentanti istituzionali e sindacali, ministri, ex ministri e dirigenti pubblici.
L’obiettivo de Il Cloud del Lavoro è quello di offrire le coordinate più puntuali su regole, flessibilità, politiche attive, servizi, Agenzie per il Lavoro, dati, formazione, competenze, welfare, relazioni industriali, digitalizzazione, intelligenza artificiale e prospettive del mercato del lavoro tra il 2023 e 2024.
Assolavoro pubblica in esclusiva ogni settimana un contributo tratto dalla pubblicazione con l’obiettivo di stimolare il dibattito online sul futuro del mercato del lavoro.